"LE PERSONE NON FANNO I VIAGGI, SONO I VIAGGI A FARE LE PERSONE" (John Steinbeck)

Parafrasando John Steinbeck (... tratto e interpretato dall'incipit del romanzo "Viaggio con Charley")
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ELEFANTENTREFFEN 2007

Nel tepore della mia stanzetta mi struggevo al pensiero di non riuscire a mettermi in sella per questa che per me è un’esaltante avventura. Nella mia mente era ancora vivo il ricordo della partecipazione nel 2005: il tendone dove dormimmo in dieci, con la stufa che non riusciva a portare la temperatura all’interno sopra lo zero... il freddo che ghiacciava tutto quanto, il fuoco al bivacco, la carbonara e le braciole cucinate sotto la neve... la notte nella fossa, i fuochi, i petardi e i bengala che rischiaravano le tenebre... quand’ecco che improvviso come il lampo di un raudo magnum che esplode, un’idea malsana mi balza alla mente: “Perché non provare ad andarci da solo?”. Sono cose sui cui non si deve stare a riflettere troppo altrimenti non si fanno più. Le gomme chiodate dell’altra volta erano giù in garage e mi fu chiaro il perché da allora non le avessi mai smantellate dai loro cerchioni: inconsciamente sapevo che quella non sarebbe stata l’unica volta che ci sarei andato! Non fosse abbastanza stolta l’idea di andarci da solo pensai anche a strade alternative, quindi passo Maloja e attraversamento dell’Engadina fino in Austria e poi Germania. Temevo che il Maloja che con i suoi 1815 mt. in invernale sarebbe stato il punto più delicato. Mi sbagliavo. La salita al passo era ben percorribile camminando con prudenza su di un manto compatto di neve pressata. Da St. Moritz in poi il fondo stradale diventa uno strato di ghiaccio vivo e riesco a procedere solo grazie alle chiodate, impiegando ore a percorre i chilometri fino al confine con l’Austria dove la strada torna ad essere pulita.

Fortunatamente non sono più solo a viaggiare. Lungo la salita al Maloja mi sono fermato a fotografare un tizio su una Yamaha XT fermo a montare le catene e da li in avanti, visto che la nostra velocità era la medesima, abbiamo proseguito insieme. È un veterano dell’Elefante, con oltre dieci partecipazioni alle spalle. Fidandomi della sua esperienza cambio il tragitto che avevo previsto e lo seguo alla volta di Rosenheim, dove ci fermiamo per la notte. Nonostante ci fossimo incontrati soltanto poche ore prima, in pieno spirito di fraternità motociclistico/elefantiaca ci troveremo a dividere la stessa stanza... una matrimoniale! Nello stesso gasthause c’è anche una comitiva di italiani su URAL, i sidecar sovietici e altri due centauri, uno su Guzzi e l’altro su Ducati. La sera ceniamo tutti insieme e la mattina seguente partiamo in un’eterogenea carovana composta da sidecar, enduro, moto e Vespa.

L’XT del mio occasionale compare di viaggio ha problemi e ci fermiamo tutti quanti all’esterno di un fabbricato per procedere a un cambio di centralina. Il fabbricato si rivela essere una pasticceria e il proprietario, tutt’altro che infastidito dalla nostra presenza che gli occupa buona parte del parcheggio, esce e ci porta il conforto di diverse tavolette di cioccolato di sua produzione! Quando finalmente riusciamo ad arrivare all’Elefante ci salutiamo e ognuno va per la sua strada.

Io mi dirigo al fondo della fossa, dove so esserci l’accampamento di Vespaonline. I ragazzi di VOL sono gente speciale: mi hanno già spalato dalla neve uno spiazzo per la tenda e non faccio letteralmente a tempo a scendere dalla Vespa che Luka il Kapo mi mette in mano la sua scodella di zuppa di fagioli bollente: una vera manna dal cielo dopo il freddo della strada! Alla sera l’ospitalità prosegue offrendomi braciole grigliate dall’impavido Marzo, che sfidando le fiamme ma soprattutto il fumo sforna bistecche a raffica.

Dopo un vin brulè bevuto al chioschetto posto nell’arena ci stringiamo attorno al fuoco a chiacchierare prima di rintanarci in tenda. Questa volta grazie allo stratagemma di dormire dentro a due sacchipelo devo dire che non soffro il freddo. Il sangue mi si gela solo alla mattina, quando apro, o meglio cerco di aprire la tenda... semi sepolta dall’abbondante nevicata caduta in nottata e ancora in corso!

E ha tutta l’aria di voler nevicare ancora... pensando a tutta la strada che mi aspetta cambio nuovamente il mio programma decidendo di sbaraccare, rimettendomi in strada verso casa con un giorno di anticipo. Purtroppo la Vespa non è della stessa idea e non vuole proprio saperne di mettersi in moto. Io e il buon Marzo ci avvicendiamo invano alla pedivella... nulla da fare... cambio di candela... nulla... fino a che il magico Seme non mette piede fuori dalla tenda. L’occhio è ancora a mezz’asta ma la mente è vigile. Mi scosta gentilmente ma con fermezza. Stacca la pipetta e sfila la “forchetta” dalla candela. Da un mezzo colpo di pedivella e nel momento in cui il volano per inerzia compie pigro qualche giro avvicina lentamente la “forchetta” alla candela, ed ecco scoccare una bella scintilla blu elettrico e il motore come d’incanto borbotta e si avvia, con quello stesso mezzo colpo di pedivella!!! Se questa non è magia ditemelo voi!



Fare la strada dall’Engadina all’andata è stato un’azzardo. Rifarla al ritorno sarebbe un follia. Impiego un’eternità a percorrere una trentina di chilometri dalla sede dell’Elefanten all’imbocco dell’autobahn. Continua a nevicare e se non bastasse il vento nei tratti non protetti dalla pineta riporta sulla strada una coltre di neve sulla quale l’equilibrio è precario. Devo dire che in linea di massima riesco a muovermi meglio io con la mia Vespa, grazie a un’erogazione decisamente più dolce, rispetto ad altri su moto più potenti. Molti altri come me si sono messi sulla via di casa, ma altrettanti se non di più sono quelli che viaggiano in direzione opposta diretti all’Elefante, che ci fermano chiedendo informazioni su ciò che li aspetta. Un po’ li invidio. Questo mio Elefanten è stato proprio una toccata e fuga. Viaggiare lungo l’autobahn è più veloce ma tutto è complicato dalla neve che cade fitta, una vera bufera che mi costringe a ripulire in continuazione la visiera del casco e che mi accompagnerà per tutto il giorno per più di trecento chilometri, fino a Innsbruck, dove mi fermo quando ormai è sera e trovo alloggio nella prima gasthause a cui mi rivolgo. Proprio il fatto di non voler viaggiare al buio è stato uno dei motivi che mi ha portato a scegliere di partire da solo. Ricordo che quando partecipai nel 2005 insieme a VOL, a causa di vari contrattempi fummo sempre costretti a trovarci in sella ancora a notte fonda. L’Elefanten è già duro per conto suo e questa volta non me la sono sentita di correre anche questo rischio. Già ci vedo poco di mio e gli occhiali appannati poi sono un ulteriore problema. Ricordo che l’altra volta la scarsa visibilità mi costrinse a viaggiare a culo di Argento seguendo il fanalino della sua Vespa come un faro nella notte. Ho scelto quindi di viaggiare da solo per potermi fermare quando ne avessi sentito la necessità. D’altra parte andare in Vespa dev’essere un piacere, non me l’ha prescritto il dottore. Conoscere i propri limiti e farlo in sicurezza è un dovere. La domenica mattina mi rimetto in strada dopo un abbondante “frustuck”, la pantagruelica colazione teutonica. Senza perdere tempo su strade secondarie pago il salatissimo ticket e transito veloce sopra l’ “Europa Brucke”, il ponte che fa da collegamento autostradale tra Austria e Italia. Oggi è una splendida giornata di sole e tutto attorno le vette innevate sono illuminate dalla calda luce del sole. Ad un certo punto vedo che da una laterale che corre alla mia destra alcune Vespa stanno per imboccare l’autostrada. Rallento in modo da poterli incrociare. Sorpresa! Sono il Lando con altri due amici piacentini, anche loro di rientro dall’Elefanten, seguiti da un camper che fa loro da mezzo di supporto. Ci fermiamo subito dopo il casello di Vipiteno per salutarci e da li proseguiamo insieme fino alle porte di Verona, dove ci fermiamo che è mezzogiorno in un parcheggio. Dalle cucine del camper escono piatti di purè fumante e cotechino per tutti... chiamatelo spuntino! Pare che la sera prima si siano cucinati risotto salsiccia e porcini e filetto al pepe verde: il minimo che può capitare viaggiando con dei piacentini che si sa, di cucina la sanno lunga! Dopo mangiato continuo imperterrito in autostrada il mio cammino verso casa, ripetutamente superato da altri centauri di ritorno dall’Elefanten, che non mancano di manifestarmi la loro simpatia con lampeggi e alzate di piede. Un altro Elefanten messo in carniere, la seconda prestigiosa placchetta è già attaccata sotto a quella particolare spilla che ha un peso tutto suo quando la si vede appuntata al giubbotto di qualche bikers. A conclusione posso solo dire a chi non ha potuto partecipare che è stato un vero peccato, e a chi ancora non se la è sentita di fare un piccolo sforzo e di provarci alla prossima edizione. Andare all’Elefanten e andarci in moto è faticoso (e in Vespa ancora di più!) ma da una soddisfazione tutta particolare, che secondo me vale la pena di essere provata, almeno una volta. Poi vedrete che ci tornerete, magari non più in sella, soltanto per godervi questo particolarissimo raduno. Lecito arrivarci “caricati” per vivere questo straordinario evento. Ho scoperto che spesso quelle tribù di unni vestiti di pelliccia che allestiscono mirabolanti accampamenti con tendoni, stufe, tavoli e sedie, arrivano all’Elefanten percorrendo solo poche decine di chilometri, caricando le loro masserizie e spesso anche i loro motocicli su furgoni e carrelli che poi si vedono parcheggiati nei dintorni del raduno.

Per me gli “Elefanti”, quelli veri, sono quelli, spessissimo italiani, che ci arrivano in sella alle proprie moto con viaggi di centinaia di chilometri, non per masochismo ma per il gusto di mettersi in gioco... in fondo andare in Vespa per noi non è un gioco?