"LE PERSONE NON FANNO I VIAGGI, SONO I VIAGGI A FARE LE PERSONE" (John Steinbeck)

Parafrasando John Steinbeck (... tratto e interpretato dall'incipit del romanzo "Viaggio con Charley")
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Mi presento...

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Classe 1963, nato a Varese e residente nei paraggi. Moglie e due figli. Artigiano in proprio (realizzo decorazioni adesive pubblicitarie).

Nel 1981 appena avuta la certezza di uno stipendio fisso ho acquistato quella che a tutt’oggi è ancora la mia Vespa preferita, un P125X (originariamente bianco, attualmente verdino metal): da notare che in quegli anni la concorrenza, nella medesima cilindrata, proponeva principalmente "Zundapp" o "Cagiva-Harley". Non avendo mai posseduto ne guidato precedentemente neanche un ciclomotore fui costretto a mandare un amico a ritirare il mio PX. Successivamente nel piazzale dello stadio alla prima prova di "partenza", con il gas troppo tirato mollai di colpo la frizione e mi trovai aggrappato alle manopole a correre dietro alla Vespa impennata che, con tre chilometri di vita percorsi, si trovò già a terra tutta acciaccata! Nella stessa giornata finii altre volte a terra e anche contro un muro..

Nel tempo riuscii a trovare uno straordinario feeling con il mezzo, che dura tutt’oggi. Nell’estate del ‘83 in viaggio verso l’Elba mi persi sulla Cisa e finii per smarrirmi in mezzo alle campagne (i miei amici ricordano ancora con divertimento quella circostanza).

Fu nel ‘86 che nacqui come "vespista per caso": alla volta della Sardegna ci presentammo (in 4 su 3 PX) al porto di Genova senza prenotazioni e fummo rimbalzati lista d’attesa. Non volendo aspettare allungammo fino a La Spezia, ma di traghetti neanche l’ombra. Quindi via, alla volta di Livorno, dove a notte inoltrata ci imbarcammo sull’unica nave in partenza... che però andava in Corsica! Giunti a Bastia (senza un franco in tasca!) attraversammo tutta l’isola fino a Bonifacio dove trovammo un imbraco fino a Santa Teresa di Gallura. Nell’ora magica del tramonto memorabile tragitto lungo la litoranea fino ad Alghero, la nostra meta, raggiunta nell’arco di tre giorni, in un’epoca lontana che non conosceva i cellulari, con amici che ci aspettavano e familiari a casa che ci davano per dispersi.

Quel viaggio segnò per sempre la mia vita di vespista e motociclista. Nacque in me la consapevolezza che con un po’ di spirito di adattamento bastava avere una Vespa sotto il sedere per avere il mondo in tasca.

Dal ‘90 al ‘94, per seguire il branco dimenticai la Vespa in garage per 5 anni, trascorsi in sella a una Honda 600XL con la quale ho percorso su e giù la nostra penisola, e viaggiato visitando diverse isole greche (in più estati), oltre a un’esaltante e avventuroso tour in Turchia.

Dal 2000 mi sono casualmente trovato a essere un vespista solitario: quell’anno nel giorno del mio onomastico partii di mattina presto, io la Vespa e nient’altro, alla volta di una non meglio precisata meta, forse in Liguria, magari Genova... mi ritrovai a pranzo alla locanda "Tripoli" (che consiglio a tutti!) nella piazzetta di Portofino. Finito di mangiare rientrai passando dalla strada meno logica sulla via di Piacenza e Pavia. All’ora di cena ero di nuovo a casa, entusiasta, ripromettendomi di ripetere quell’esperienza. Promessa mantenuta negli anni successivi con viaggi e tour sempre più impegnativi, non solo in estate ma in tutto l'anno.

Grazie al Web sono entrato in contatto con tanti altri appasionati di Vespa e di viaggi, in particolare frequentando il WebSite http://www.vespaonline.com/ in seno al quale, dal 2006 svolgo il ruolo di moderatore della sezione "viaggi" di uno dei forum vespistici più frequentati del Web. Con gli amici di Vespaonline nel dicembre del 2005 abbiamo dato corpo a un nostro sogno in quello che a oggi è il viaggio più importante della mia "carriera": da Buenos Aires a Ushuaia (Tierra del Fuego) attraversando la Pampa e la Patagonia in sella alle nostre Vespa lungo la leggendaria "Ruta 40".

Altra mia grande passione oltre alla Vespa quella per le buone letture. Nel 2007 ho trovato modo di coniugare queste mie due passioni dando vita a uno spazio Web dedicato alla "letteratura vespistica" che ho chiamato "Chilometri di parole in Vespa". Una cosa nata quasi per scherzo, con la scusa di catalogare i diversi libri a tema "Vespa e viaggi" da me raccolti negli anni. Il successo di questo spazio Web, del tutto inaspettato, mi ha piacevolmente travolto e mi ha dato la possibilità di entrare in contatto con gli autori e le Case Editrici.

Amo le Vespe così come sono, al naturale, più affascinanti con i segni lasciati loro dal passato, ben tenute anche se magari non perfette. Trovo belle le Vespe sottoposte ad elaborazioni tecnico-stilistiche, ma solo da vedere o da provare per un giretto, un po’ come le donne rifatte al silicone: meravigliose sulle foto patinate delle riviste ma che "al tatto" lasciano a desiderare. Forse entusiasmanti per l’avventura di una notte, ma con cui difficilmente ci si immagina ad invecchiare insieme.
La mia Vespa, anche se sta insieme con il nastro adesivo (come spesso le capita!), non la cambierei con nessun’altra.

Buona Vespa a tutti.
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... come dite? Non vi ho detto il perché del "205"... vorrà dire che ve lo racconto un'altra volta!

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Mio fratello Paolo, pallido narratore di vicende a tinte fosche.

Graf-X Studio, perchè non di sola Vespa vive... Lorenzo205!

VESPAONLINE, il sito dedicato alla Vespa che vanta il maggior numero di imitazioni!

MOTOTURISMO, la più autorevole rivista dedicata ai viaggi su due ruote.

WeLoveLiving, molto più che appassionati di viaggi su mezzi d'epoca.

Tutto un Mondo Vespa, il blog di un appassionato vero.

"il rettilineo è una tortura", il Web Site ufficiale.

Il mio amico TURBO, un nome, una garanzia!

RVA, vespisti in Argentina.

"Scerpe" e il suo sito, indispensabile per visitare la Toscana... in Vespa!

Giorgio Bettinelli

Fans Club Giorgio Bettinelli.

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Andrea "Haero" Fabellini, artista del viaggio e della vita.

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Peter Moore, travel writer.

Gionata Nencini, motociclista globetrotter.

VareseNews, quotidiano online della mia città

La Provincia di Varese, quotidiano.

MOTO22, motociclisti spagnoli che parlano... di me!

Rifugio del Vespista : un'officina che è il corrispondente meccanico di una "libreria antiquaria"

Born2travel : questo si che sta girando il Mondo!

In viaggio nel tempo... in Vespa!


Un giro in Vespa sotto molti aspetti diverso da tutti gli altri che io abbia mai fatto. Anche questa volta come così come tante altre in precedenza sono andato ad arrampicarmi su per i tornanti, in questo caso della vicina Svizzera, per aggiungere un altro "2000" al mio palmares. La prima sostanziale differenza è stata nel fatto che questa volta non ero solo ma condividevo nuovamente la sella con mia moglie che, finalmente dopo tanti anni (...e due figli ormai non più piccolissimi!) ha ritrovato la voglia di accompagnarmi. Tanto di cappello a Elena205, la mia consorte, che ha cominciato a lamentare qualche fastidio dovuto alla terribile sella dei vecchi PX soltanto intorno al 400tesimo chilometro...

Perchè sono andato a proprio fino a Sierre (Svizzera) e perché ho titolato questa clip "In viaggio nel tempo"? Dovete sapere che da tempo sono alla ricerca di quella che fu la Vespa di mio padre. Dopo l'entusiasmo iniziale mi sono reso conto che è molto difficile che io possa mai incontrare, non dico possedere ma almeno vedere quella Vespa. Sono riuscito a mettermi in contatto con la persona che acquistò quella Vespa da mio padre, ma purtroppo non ha saputo dirmi che fine abbia fatto. Ho preso contatto con i principali Vespa Club nazionali, ma senza alcun riscontro. Si contano sulle dita di una mano quelli che mi hanno risposto. Visto che, per ora, di tornare realmente in contatto con quella Vespa non c'è verso, ho pensato di farlo indirettamente. Ho qualche foto di mio padre vespista e in una di queste è ritratto da mia madre durante un loro viaggio dall'Italia alla Francia. Sul retro della foto e scritto a mano il nome di una località e una data. È stato così che a quasi cinquant'anni di distanza sono riuscito a rifare la stessa fotografia, che dedico alla sua memoria di mio padre Angelo (22/09/1924 - 22/09/2006).

nota a margine: la settimana scorsa mentre, proprio mentre confezionavo questo video, Giorgio Bettinelli consumava gli ultimi istanti della sua vita intensa, della quale, grazie alle sue pagine, abbiamo potuto godere la pienezza. Quindi dico anche a te: "ovunque tu sia, ciao Giorgio!"

La musica che accompagna la clip è "Hymne a l'amour": mio padre, francese di nascita, di sicuro avrebbe apprezzato la voce del "passerotto di Francia", Edith Piaf... ovviamente non sono in possesso di licenze e autorizzazioni, ma tant'è...

Il giro del Verbano (2007)

novembre 2007


Le belle giornate che sta regalando l'autunno qua nella mia zona sono un invito irresistibile. Quindi perchè resistere? Così mi sono lasciato andare e domenica mattina mi sono messo in strada di buon ora. L'idea era quella di fare il giro completo del "Verbano", meglio conosciuto con il nome di Lago Maggiore.

Sono partito da LAVENO, e ho scelto di viaggiare in senso orario, in modo da poter avere sempre il lago sulla destra. A Laveno il lago è calmo come un'olio, e così mi avvio verso sud. Poco oltre Laveno si trova l'eremo di Santa Caterina del Sasso, costruito su uno spuntone di roccia a strapiombo sul lago. Questa foto l'ho scaricata dal Web in quanto per avere questa vista del santuario bisogna arrivare via acqua. Dopo essere passato per ISPRA, successivamente prendo alla mia destra lasciando la strada provinciale per seguire esattamente la costa in direzione di RANCO. In questo paese esiste un "museo" dei trasporti, http://www.museo-ogliari.it/ che in realtà è la pazzesca collezione di un privato che ha raccolto treni, locomotive, carrozze, aeroplani e mezzi di trasporto di ogni tipo. Il tutto è distribuito nella sua proprietà ed è visitabile gratuitamente. Da Ranco in poco tempo raggiungo ANGERA, dominata dalla sua Rocca medioevale, per poi scendere fino a SESTO CALENDE.

In questo punto il fiume Ticino esce dal Verbano dopo averlo attraversato. Passando il ponte in ferro entro in Piemonte. Il tratto da Sesto a Arona è il più brutto di tutto il giro: una superstrada che corre in mezzo ai centri commerciali. Da ARONA si può ammirare la Rocca di Angera sulla sponda lombarda del lago. Faccio una piccola deviazione per salire al Santuario di San Carlo e vedere l'imponente "Colosso di San Carlo" e godere della spettacolare vista d'insieme del Lago Maggiore Continuando il giro, da qui in poi la strada è un vero spettacolo, e segue la costa passando accanto a ville storiche, per arrivare a STRESA, che si presenta con i suoi elegantissimi Grand Hotel.

Dalla passeggiata del lungo lago si possono ammirare le Isole Borromee. Il giro continua in direzione nord, e dopo aver passato il ponte che scavalca la foce del fiume Toce arrivo a VERBANIA. Ormai è ora di pranzo così mi fermo a mangiare una pizza.

Riprendo il mio giro con la pancia piena. La temperatura è quasi primaverile e andare in Vespa con questi panorami un vero godimento. Dopo OGGEBBIO si passa da CANNERO, con i suoi suggestivi "Castelli". Passato il confine il giro continua in territorio elvetico, passando per BRISSAGO, ASCONA e LOCARNO. In questo tratto di strada tutto è sempre molto bello ma molto più ordinario rispetto alla costa italiana. Da Gambarogno si può vedere Ascona dall'altra parte del lago. Scavalcato nuovamente il fiume Ticino nel punto in cui entra nel Verbano, dopo pochi chilometri passo il confine e sono di nuovo in Italia. Arrivato a LUINO mi fermo a fare qualche foto al mio "Charley", che per festeggiare i suoi 80.000 km ha voluto mettersi in posa sul molo del porto turistico.

Ancora qualche chilometro e si chiude il cerchio: sono tornato a Laveno. Salgo alla frazione di Monteggia per fotografare il lago dall'alto e poi mi avvio verso casa, con la luce del sole che va scaldandosi delle tonalità del tramonto. Con questo giro pensavo di chiudere, per così dire, la stagione "2007"... ma dopo un giro così chi ce l'ha il coraggio di farlo?!? In tutto ho fatto 270 km, di cui sono circa 220 quelli effettivi del giro completo del Verbano. Chissà, magari dopo aver visto queste foto a qualcuno verrà voglia di venire a farsi un giro da queste parti.

p.s.: ah! dimenticavo! il mio vecchio "Charley" dopo quasi 27 anni e 80.000 km va ancora che è una cannonata!
Con le foto di questa passeggiata in Vespa che sono raccolte nella PhotoGallery di Vespaonline ho realizzato un montaggio in musica che ho intitolato "Il Tango del Verbano".

Vespa Blitz Marathon delle 6 Nazioni ®




È cominciato tutto l'altra sera: stavo per chiudere bottega quando, buttando uno sguardo al calendario, penso:
"Se mi prendo il venerdì metto insieme tre giorni... dove potrei andare?" Apro l'atlante stradale... uno sguardo alla carta... ecco un'idea! Faccio un rapido calcolo dei km. È una follia o si può fare? Almeno si può tentare!
Il giorno seguente è giovedì: dopo il lavoro pianifico il poco che posso pianificare e venerdì mattina ore 5 parto... alla via del tentativo di portare a termine il "1° Vespa Blitz Marathon delle 6 Nazioni ®"!
Nell'aria fresca del primo mattino partendo dai dintorni di Varese raggiungo Torino e da li Cuneo per valicare il Colle di Tenda inanellando facilmente il 1° traguardo: FRANCIA. Un po' di strade secondarie per i passi delle Alpi Marittime e scendo per il 2° traguardo: PRINCIPATO di MONACO. Da Nizza, ora che sono in Francia, posso a buon diritto entrare in autostrda con il 125 e così comincio a macinare km attraverso la Provenza fino ad Arles, dove per rompere la noia esco per attraversare la Camargue su strade ordinarie. L'idea è quella di arrivare fino a Montpellier, ma viaggiare nella luce del tramonto è bellissimo e mi ritornano in mente i fine tappa patagonici in una luce che era quasi la stessa e così vado avanti fino alle 23 passate arrivando addirittura a Perpignan, stabilendo il mio record personale con oltre 900 km in un'unica giornata.
Giro a vuoto fino all'una di notte all'inutile ricerca di un hotel, poi rinuncio e pianto la tenda in una delle belle piazzole di sosta. La sveglia in tenda arriva presto con il sorgere del sole. Sono presto di nuovo in viaggio e i km di montagne sembrano non passare mai, ma finalmente raggiungo il 3° traguardo: SPAGNA. Altri km di Pirenei (ragazzi, che strade!) e faticosamente raggiungo il 4° traguardo: ANDORRA.
Rientro in Francia per cominciare il lungo attraversamento in direzione nord/est. Quando sono le 21 mi fermo un 200 km circa oltre Tolosa e trovo alloggio in un piccolo hotel in un delizioso borgo medievale. Così dopo 700 km percorsi posso farmi una doccia, cenare con foie gras, rognon e dormire da signore in un bel letto per questa seconda notte. La mattina il cielo è grigio e purtroppo resterà così per tutto il giorno. Percorrendo la strada che attraversa l'alta Loira (tutta tra gli 800 e i 1300 mt di quota... un freddo!) passo da St. Etienne e poi Lyon e di nuovo autostrada in direzione Ginevra, a cui passo accanto per costeggiare il lago Lemano e raggiungere il 5° traguardo: SVIZZERA.
Da qui pioggia percorrendo il fondovalle fino a Briga, dove prima di iniziare la scalata del passo Sempione mi metto addosso tutti gli indumenti di cui dispongo: la vetta è immersa nelle nubi e per il freddo devo mettermi anche il sottocasco. Scollino nella nebbia più fitta e scendo per tagliare alla vecchia dogana dismessa di Gondo il 6° traguardo: ITALIA! Sone le 21. Scendo tranquillo verso Verbania dove per un pelo perdo il traghetto per Laveno delle 22. Approfitto dell'attesa per consumare la mia cena a base di tonno Nostromo sul piazzale dell'imbarcadero. Un quarto d'ora prima della mezzanotte, dopo altri 700 km sono di nuovo a casa. 2300 km nell'arco di 66 ore, 6 nazioni toccate: non so se è un record ma sicuramente non è male.
Guasti: è partita la luce anabbagliante e dopo Gondo il contakm ha dato forfait. Zero scaldate, zero grippate. Non mi sentivo particolarmente stanco, solo un gran mal di culo nell'ultima giornata di viaggio. Riuscire a portare a termine una cosa del genere da una grande soddisfazione e preoccupa un po' perchè dopo questo prima o poi mi verrà in mente qualcosa di "peggio".

Per me la Vespa va vissuta così: oggi non sai dove potrai essere domani... in sella alla tua Vespa!

CONTATTI

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Il modo più semplice e veloce per mettersi in contatto con me è quello di scrivermi una email

lorenzo205@libero.it

nel limite del possibile cercherò di rispondere a tutti quanti.

CAPE HORN

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CAPE HORN: quando insieme agli amici di Vespaonline è stata organizzata l'avventurosa spedizione in Vespa attraverso la Patagonia, ciascuno di noi si è impegnato nella ricerca di sponsorizzazioni, spesso attingendo alle proprie conoscenze personali. Io che direttamente non conoscevo nessuno potenzialmente interessato alla nostra impresa non ho potuto fare altro che navigare nel Web alla ricerca di qualche spunto. La meta del nostro viaggio era la Tierra del Fuego: inevitabile quindi finire nel sito di un'azienda che per logo si è scelto "CAPE HORN", un luogo di cui basta il nome per evocare viaggi e avventura. Presi contatto senza troppe speranze. Piacevolissima sorpresa ricevere due semplici righe in risposta alla mia mail: "Salve, complimenti per il vostro programma particolare e avventuroso, Cape Horn potrebbe partecipare con alcuni capi antivento...". I "capi antivento" della CAPE HORN sono stati la nostra seconda pelle per tutta la durata del raid. Capi di alta qualità in grado di mantenere costante la temperatura corporea, dalle fresche serate nella Pampa di Buenos Aires fino alle neve trovata una volta giunti a Ushuaia, Tierra del Fuego (proprio a poche centinaia di km dal mitico Capo Horn!). Oggi quel capo di abbigliamento è un'inseparabile compagno dei miei vaiggi in Vespa, una sorta di talismano di cui mi è impossibile fare a meno. Un altro motivo che mi lega a questa azienda è il fatto che il loro sito ospiti quella che a tutt'oggi è la traccia più consistente che si possa trovare nel Web a proposito del nostro viaggio. La mia attività di vespista/viaggiatore dopo l'exploit in Argentina continua per strade più ordinarie ma ugualmente affascinanti, e ancora oggi grazie alla filosofia aziendale della CAPE HORN, nei miei viaggi posso contare su un'azienda sempre pronta, attenta e disponibile.

In Vespa perché...

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Perché proprio in Vespa e non su una moto di un altro modello? Tante risposte si affollano in testa e per ognuna un qualcosa che credo solo mio anche se so che non è così. Allo stesso tempo in ogni ripsosta manca qualcosa che traspare tra le righe ma che non riesce a prendere corpo nei caratteri che scrivo. Qualcosa di cui mi rendo conto, sia fisicamente che psichicamente. A rispondere di slancio, al volo, ho il timore di non riuscire a esprimere le mie sensazioni. Cercare di di scriverlo però mi aiuta a comprendere. A capire il senso di smarrimento che provo quando sto per rientrare a casa dopo un viaggio, un giro, lungo o breve che sia stato. Sono nei dintorni di casa mia e ormai la strada la conosco e quindi so esattamente quanta poca strada mi manca da fare! Magari sono stanco fisicamente, sono ore che sono in sella: se fosse una tappa intermedia non vedrei l’ora di sedermi con le gambe sotto un tavolo a mangiare o di infilarmi sotto una doccia. Sarei tranquillo. Saprei con certezza che l’indomani o al massimo il giorno successivo sarò di nuovo in sella, la Vespa caricata e pronto a rimettermi in viaggio. Invece guardo il contachilometri che inesorabilmente gira e scandisce l’ultimo tratto di strada e non mi sento completamente a posto. Sì, sono soddisfatto: sono riuscito a portare a termine il tour che mi ero programmato nonostante gli imprevisti, nonostante il maltempo. Ce l’ho fatta! Sono orgoglioso che la mia Vespa sia andata alla grande, senza un’incertezza. Ma sono orgoglioso anche se mi ha dato qualche problema ma io, che la conosco così bene, sono riuscito da solo a rimettermi in cammino!
Ma nonostante l’euforia in fondo allo stomaco mi sento un qualcosa di stonato che mi pesa addosso più della stanchezza fisica che provo. So che sono arrivato e che per domani e tanti altri giorni che verranno non ripartirò. In quei momenti cerco di convincermi che arrivare a casa in fondo è come fare una tappa un po’ più lunga durante un lunghissimo giro... ma è dura! E’ dura guardare una carta stradale d’Europa o anche solo d’Italia... e rendermi conto che non riuscirò mai a percorrere tutte le strade che vorrei. Guardo con soddisfazione le strade che ho già viaggiato e vorrei poterci ripassare un’altra volta per gustarmele ancor meglio visto che un po’ già le conosco... onestamente non credo che per me sarebbe la stessa cosa se non viaggiassi in Vespa. Non credo che potrei avere la stessa sensibilità e provare le stesse sensazioni.

Più ci penso e meno comprendo: anche scriverlo non giova. Forse l’unica è salire in Vespa ogni volta che posso e continuare a viaggiare, in compagnia o da solo. Viaggiare da soli: chi non l’ha mai fatto dovrebbe provare: dopo il terzo o il quarto giorno di viaggio in solitaria, quando il paesaggio intorno a te non ti è più così famigliare e con quanti incontri scambi per lo più frasi di circostanza, quando sei in sella da ore e devi solo decidere quanta strada vuoi fare ancora per quel giorno, quando sei effettivamente "da solo con Lei", forse allora puoi iniziare a comprendere, a capire, a renderti conto di un qualcosa... che non riuscirai mai a spiegare a nessuno!

La Vespa, il pallone e la luna piena

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Domani sarà l’ultima notte del mese di luglio. La luna è tonda e piena, come un’enorme palla screziata d’argento che incombe. Il caldo in città è asfissiante anche di notte, quasi che trasudando dall’asfalto sommergesse tutto e tutti fino a una spanna sopra la testa. È come stare immersi in una piscina densa e calda, dove non si tocca e si fatica a riprendere fiato. Qui invece si sta bene. Anzi, a dire il vero fa quasi fresco. A quanto sarò? Otto o novecento metri, non di più, ma sono già abbastanza perché l’aria finalmente non sia più la stessa. Posticino strategico questo, ma bisogna conoscerlo. Bisogna infilarsi nel bosco, ci si passerebbe anche in macchina, ma poi si potrebbe tornare soltanto in retromarcia. Venti, trenta metri, non di più. Si scavalca un terrapieno e quando sei in cima per un attimo la luce del faro spara in cielo come una fotoelettrica alla ricerca dei bombardieri in tempo di guerra. Dura solo un istante, poi sei sulla radura.
Spengo immediatamente la Vespa e per qualche istante il buio è totale prima che gli occhi si abituino all’oscurità. Le orecchie impiegano qualche secondo in più per assuefarsi al silenzio e la sensazione di udire ancora gli echi del motore persiste più a lungo. Nella notte la collana di luci dei paesi sulla sponda disegna approssimativamente la sagoma del lago, giù la in fondo. Il versante è esposto e la corrente d’aria che sale dal lago mi sfiora ed è ancora più forte la sensazione di vuoto del precipizio che so esserci solo qualche metro avanti anche se non ne distinguo il margine. Senza scendere, col tacco punto il cavalletto e piantati i piedi a terra, tirando dal manubrio, posteggio, accomodandomi in sella con le braccia incrociate sul petto e la schiena dritta, guardando verso il lago, nel buio...
Pareggio! 4 a 4! Mancavano meno di cinque minuti... mancava tanto così... ci siamo fatti infilare come dei polli! Per non parlare poi del fallo che hanno fatto proprio su di me poco dopo! Non esiste giocare per divertimento. Si gioca per vincere anche quando non c’è niente in palio e se non si vince non ci si diverte veramente. La compagnia, gli amici, ok, vanno bene, ma era meglio vincere. Mi sono inventato calciatore recentemente in quanto era l’unica maniera per continuare a tenermi in movimento. Dopo aver passato la vita a fare tutt’altra disciplina mi sono reso conto che lo sport ormai lo concepisco solo come attività di squadra, e che mi diverto proprio perché c’è competizione. Ho provato la corsa, la bici, la palestra... una noia mortale!
A calcio me la cavo quanto basta, niente di più. I primi tempi finivo sempre in porta. Poi mi hanno messo all’attacco "così almeno non fai danni". Secondo me ero un buon opportunista: punta fissa (e mai termine si rivelò più calzante!), anche se le percentuali di realizzazione non erano entusiasmanti. Ora è qualche tempo che gioco come terzino sinistro ma non ricordo come fu che mi trovai un giorno a essere schierato in difesa. È certo però che in questo ruolo ho trovato la mia collocazione. In fase difensiva me la cavo senza neanche troppi falli. In fase costruttiva ho ancora, diciamo così, qualche imbarazzo. L’importante è dare via in fretta la palla, in modo che gli avversari non se ne accorgano e soprattutto cercare di mandarla il più lontano possibile. Non importa se poi non c’è nessun compagno a riceverla: puoi sempre provare a dare la colpa a lui che non era al posto giusto!
...la sacrosanta doccia aiuta a levarmi di dosso la delusione e in parte la stanchezza. In parte, perché il caldo anche se ormai è sera fatta è sempre insopportabile. Lego la borsa davanti, un colpo di pedivella e parto subito: non voglio perdermi nemmeno un istante della meravigliosa sensazione di frescura dovuta all’asciugarsi di quel velo di sudore che, nonostante la doccia, ha già iniziato a formarsi sulla pelle. Tiro leggermente indietro la testa, in modo che l’aria possa insinuarsi meglio nel casco, tra i capelli ancora umidi, rinfrescandomi così fin nel cervello... meraviglioso!
L’idea di viaggiare di notte, se per viaggiare si intende percorrere strade che non si conoscono, non mi ha mai attratto particolarmente. Di norma preferisco fermarmi prima che faccia buio. Mi piace invece partire di notte e farmi trovare in sella in quel momento, o meglio in quella fase in cui dal buio della notte gradualmente si passa alla luce del giorno. Mi piace l’atmosfera dell’alba che regala infiniti dettagli di ciò che mi circonda, così come non mi piace quella del tramonto, che dopo averti ipnotizzato con tonalità impossibili fa lentamente sparire tutto quanto inghiottendolo nel buio.
Non so bene perché io non abbia preso la via di casa questa sera: è notte e sto andando esattamente nella direzione opposta. Sono sulla provinciale e il traffico è scarso. Ora vado più veloce e fatico nel tenere la testa leggermente all’indietro come facevo prima: tanto ormai i capelli sono asciutti e quindi giù la visiera. Passo attraverso un paese che è praticamente deserto nonostante non sia poi così tardi. Luci azzurrine filtrano dalle finestre: tutti in casa davanti alla tivù, magari col ventilatore puntato addosso. Me li vedo, accaldati e stravaccati sul divano a darsi di tanto in tanto una manata per cercare di fottere una di quelle maledette zanzare...
Peccato averli fatti pareggiare! Ma la cosa che mi rode di più è che nonostante il pareggio avremmo potuto vincere comunque... negli ultimi minuti la boccia l’abbiamo sempre avuta noi e loro non sono più riusciti a passare la metà campo. Quando dietro siamo piazzati in tre in linea e quelli a centrocampo non li lasciano partire palla al piede siamo praticamente insuperabili. Io poi, non avendo mai avuto una preparazione specifica al gioco del calcio, sono praticamente immune dal cadere nell’inganno delle finte. Gli attaccanti fanno tutto il loro repertorio di mossettine e mezzi passi per farmi credere che passeranno da una parte, ma loro non sanno che io non so che fanno quel tal movimento per farmi credere di aggirarmi da quella parte. Così io non mi muovo, resto fisso sulla palla e spesso riesco a toccarla portandogliela via dai piedi, o a disturbarli tanto da fargli poi sbagliare il passaggio. In genere poi, conoscendo i miei limiti, sono molto prudente. Raramente mi spingo in avanti e resto più volentieri indietro a coprire quando si sganciano in attacco i miei soci della difesa.
...mi supera veloce un’auto scura che riversa dai finestrini abbassati fino in fondo il ritmico rimbombo ovattato di un brano disco, con i bassi pompati al punto da farmene percepire fisicamente la vibrazione. Mi passa troppo vicino facendomi il "pelo" ma rinuncio a qualsiasi rimostranza: loro sono almeno in quattro, anche se dal casino che fanno potrebbero anche essere in sei o sette li dentro... e poi fa troppo caldo! Avevano tanta fretta nel volermi sorpassare e poi si sono fermati subito dopo davanti a un locale con l’ingresso che si affaccia sulla strada. C’è gente che aspetta il proprio turno per entrare e dalla porta aperta filtra sempre il medesimo fastidioso rimbombo ovattato. Mi allontano godendo del "silenzio" che mi accompagna...
Non so bene come ho fatto a trovarmi a due metri dalla porta avversaria proprio mentre la palla arrivava da destra rotolando veloce a fil di prato, attraversando indisturbata tutta l’area. Puro istinto: mi sono preparato di piattone sinistro anche se non è il mio piede, tanto da lì era impossibile sbagliare. Il portiere non ci sarebbe mai arrivato. L’unico modo di sbagliare sarebbe stato quello di non inquadrare la porta, ma da lì francamente era proprio impossibile: un match point servito su un piatto d’argento. L’avversario non l’ho proprio sentito arrivare. Non mi ha fatto neanche male: è arrivato da dietro quando la palla era quasi alla mia portata, mi si è infilato in mezzo alle gambe e mi sono trovato sdraiato sopra di lui, mentre il pallone rotolava beffardo verso il fondo campo. Rigore netto. -Batto io!- dico pronto. -Batti tu?!? no dai, facciamo tirare lui... è un attaccante!- Io replico: -Ma il fallo l’hanno fatto a me!- - Si vabbè... però è meglio se tira lui...-
...il suono del motore non si può considerare fastidioso, almeno per chi sta in sella. Viaggio isolato, immerso in un involucro impalpabile generato dal rumore dell’aria e del motore. È già qualche chilometro che ho lasciato la provinciale, la salita inizia a tirare. Intorno il bosco è fitto e l’asfalto è caratterizzato dall’ombra originata dalla luce della luna piena sulle frasche. Un susseguirsi di curve a seguire il profilo irregolare della montagna, senza veri tornanti in quanto la salita è molto lunga in rapporto alla quota che si raggiunge in cima. La Vespa si arrampica che è un piacere starci seduto sopra. Il motore non lo porto mai al massimo e le marce entrano quasi da sole, con le mani leggere, nell’istintiva coordinazione di frizione, cambio e manopola del gas. Terza, seconda (un’accellerata un po’ più lunga), poi terza di nuovo, ancora gas, quarta (ma per poco) e poi di nuovo terza e così via...
Ora c’è un lungo tratto di salita prevalentemente rettilineo. Il bosco non c’è più, solo arbusti. È bruciato tutto tempo fa e ci vorranno anni prima che ogni cosa torni come prima. La strada non è più sovrastata dalle piante e adesso vedo la luna nitida sopra di me, leggermente sulla destra. È tanto limpida che quasi abbaglia, disegnando sull’asfalto la mia ombra in sella alla Vespa, netta e ben delineata sulla sinistra, appiccicata dietro di me come se cercasse di sorpassarmi. L’ombra continua a seguirmi e riesce a superarmi solo dopo che ho scollinato: ora che sono sull’altro versante la luna è alle mie spalle. Adesso c’è un altro lungo rettilineo davanti a me, in discesa questa volta. Lascio filare la Vespa da sola alla sua velocità, e per un lungo tratto mollo le manopole e allargo le braccia distendendole come ali. La mia ombra esegue fedelmente la stessa manovra. Mi sembra di volare. Ho la tentazione di chiudere gli occhi per assaporare fino in fondo questo momento, ma l’istinto di sopravvivenza è più forte e gli occhi restano bene aperti, senza per questo togliere nulla alla magia che sto vivendo. In fondo al rettilineo torna a esserci il bosco e la luna proietta nuovamente l’ombra delle frasche sulla strada e la mia sagoma quasi scompare. Rallento: l’ingresso della radura era qui da qualche parte, in mezzo a questi alberi...
Così alla fine della discussione ha tirato lui... direttamente in bocca al portiere! E nemmeno tanto forte. 4 a 4 e tutti a casa.
...l’aria fresca che si respira quassù mi calma ma al tempo stesso mi sento agitato: c’è qualcosa che non va, che mi disturba. Sono sicuro che quel rigore io non l’avrei fallito. Niente di raffinato intendiamoci: una bella puntata forte forte, con tre passi di rincorsa, che se anche la parava gli spezzavo le dita! Scendo dalla Vespa e faccio qualche passo verso il precipizio... guardo nel vuoto... la tentazione e fortissima ma non voglio arrendermi così: in fondo è solo una partita di calcio. Mi dico che non ne vale la pena. Guardo in basso senza vedere il fondo del precipizio che si perde nel buio, sperando inconsciamente che il rendermi conto della grande altezza possa farmi desistere. Devo farlo. Non mi importa di cosa diranno di me, di cosa penseranno i miei compagni di squadra, i miei "amici"... faccio un altro piccolo passo verso il baratro. L’aria che sale è ancora più forte e sembra già di cadere... faccio un respiro profondo chiudendo gli occhi... so cosa devo fare... devo farlo... devo farlo...
Torno alla Vespa, apro la borsa e tiro fuori il pallone. Ora che gli occhi si sono abituati all’oscurità, grazie alla luce della luna che solo domani sarà totalmente piena vedo tutto distintamente. So cosa devo fare. Con cura piazzo il pallone nell’erba, a meno di un metro dal margine del precipizio. Cammino a ritroso per qualche passo. Mi fermo. Fisso il pallone. Alzo lo sguardo verso il vuoto davanti a me, giusto per un attimo (...affinché l’immaginario portiere non intuisca le mie intenzioni), poi abbasso la testa e parto deciso con la rincorsa... punta piena, proprio in mezzo alla palla! Parte veloce, argentata anch’essa come una luna un po’ più piccola, una meteora silenziosa che disegna nel cielo buio una parabola che diventa infinita quando il pallone scompare inghiottito dall’oscurità ...imparabile!
Adesso sì, adesso mi sento straordinariamente bene!

A - B - C - D - E... Elefanten Treffen 2005

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Le cose successe e le esperienze intensissime vissute insieme ai miei compagni d'avventura (...e mai termine fu più appropriato!) si accavallano alla rinfusa nella testa e ed è estremamente difficile riuscire a riordinare le idee e stendere un resoconto che segua un preciso filo cronologico. Mi tornano in mente vari "flash". Gli episodi sono stati tanti, principalmente divertenti, forse perchè sono quelli che si ricordano più volentieri, anche se non sono mancati momenti decisamente duri.
Così, a mano a mano che mi tornavano in mente, ho cominciato a trascrivere i vari ricordi e le diverse sensazioni, che inevitabilmente finivano per intrecciarsi tra loro. Ogni episodio ne richiamava un altro, e guardando le foto altri ancora si facevano spazio nella memoria. Non c’è un singolo avvenimento che può realmente definirsi più significativo di un altro. Alla fine l'unico modo che ho trovato per riordinarli senza fare torti e cercando di non tralasciare nulla è stato quello alfabetico. Ne è uscito quindi una sorta di "A, B, C..." della mia prima storica partecipazione
all'Elefanten Treffen. Una sequenza di immagini che resteranno scolpite a lungo nella mia mente. Prima di partire Luca ci aveva avvisato: "...si dice che un po’ si cambia una volta tornati dall’Elefanten Treffen..." Ebbene, nel mio caso è stato proprio così. Sono convinto di poter dire la medesima cosa anche per lo stesso Luca, per Daniel, Alberto, Giampaolo, Federico, Riccardo, Christian, Jury e Roberto.

A come ARGENTO, al secolo Daniel. Secondo me l’uomo simbolo di questo Raid. Casco jet calzato su un passamontagna di lana. Niente calzamaglia. Pantaloni pesanti ma non specifici. Niente termoscud a proteggere le gambe. Un bagaglio a dir poco essenziale. In sella alla Vespa più vecchia della pattuglia, che arrancava faticosamente dove le salite erano più dure ma che filava imprendibile in discesa in barba alle strade, ghiacciate o innevate che fossero. Per me una guida nella sua filosofia della Vespa e della vita ma anche sulla strada: cercando di stargli a ruota avevo sempre un preciso riferimento sulle migliori traiettorie da seguire. Instancabile esempio in sella e sempre disponibile con i compagni di viaggio. Mi ha colpito particolarmente in occasione dell’ultima fatale rottura della frizione di Rix: dopo che lo stesso si era ferito al braccio ed era stato portato all’ospedale, eravamo tutti demoralizzati, fortemente in ritardo sulla tabella di marcia, con ancora centinaia di chilometri di strada da percorrere. Argento senza dire una parola si è tolto i guanti e ha cominciato a rimettere insieme ciò che restava della Vespa di Rix. Tutto il gruppo si è subito come rianimato: c’era chi vuotava il cardaja (già pieno all’inverosimile!) per far spazio alla Vespa, chi aiutava a sistemare il PX smontando parabrezza e altre parti per poterlo caricare... un grande, che con il suo esempio ha saputo trascinare il gruppo senza dire una parola.
A come ABBIGLIAMENTO. Ognuno ha interpretato a modo suo questo aspetto fondamentale. Ci aspettavamo che facesse freddo, ma in realtà ha fatto molto più freddo di quanto almeno io potessi immaginare. C’è stato chi come Jury ha puntato su un abbigliamento supertecnologico (comprese mutante in goretex!) e chi (come me...) ha badato più alla quantità che alla qualità. Nei giorni prima della partenza ho rastrellato i grandi magazzini della mia zona alla ricerca di quanto potesse essere più utile e meno dispendioso. Alla fine ho raggiunto un equilibrio termico con un abbigliamento a "cipolla", stratificato. Sulle gambe pantacollant (da donna taglia XXL) coi piedi tagliati via + tuta da ginnastica attillata in felpa + calzoni in panno + pantaloni antivento foderati in pile. Mi ero portato anche una salopette da sci che non ho usato. Sul corpo maglia manica lunga in micropile + gilet in lana + maglione in pile + giacca imbottita Dainese + giaccone antivento da sci. Ai piedi dei "Canadesi" imbottiti + 2 paia di calzettoni in lana. Non posso dire di avere avuto caldo ma non ho nemmeno sofferto particolarmente il freddo. Diversi di noi hanno fatto ricorso a scaldamani e scaldapiedi chimici. Il capo di abbigliamento più invidiato era forse la termofodera elettrica che Luca indossava sotto la giacca, ma si sà, il Capo è sempre un passo avanti!

B come BIFI-ROLL (per maggiori dettagli vedere anche il sito www.bifi.de ), ovvero l'alimento che ci ha sfamato durante il tragitto. Si tratta di una specialità germanica che consiste in un salamino inglobato all’interno di una pagnottella. Questo snack si può trovare presso tutti i chioschi dei distributori di benzina. A ogni rifornimento si faceva una capatina all’interno di questi chioschi per scaldarsi e rimpinzarsi di Bifi-roll appunto, tavolette di cioccolata e bere qualcosa di liquido, meglio se caldo. Portarsi una bottiglietta d’acqua di scorta nello zaino o nel bauletto era una cosa perfettamente inutile. Inevitabilmente nel tempo della sosta successiva il suo contenuto era totalmente ghiacciato.


B come BOTTI, petardi e fuochi d’artificio. Con il calare delle tenebre lo sterminato accampamento all’Elefanten si ammantava di un’atmosfera irreale. Nella luce della sera decine di fuochi splendevano nell’oscurità e una fumosa cortina profumava l’aria con l’odore della legna bruciata. Con il buio iniziava il bombardamento. Da una tenda all’altra venivano sparati botti, petardi e bengala. Un costante stillicidio di esplosioni che si prolungava per tutta la notte. Nella nostra dotazione c’era soltanto qualche misero raudo. Poca cosa. Per rendere più movimentata la nostra serata Luca non ha trovato di meglio che buttarne un paio direttamente nel falò. I miei pantaloni e il pile di Roby porteranno per sempre il segno di quel simpatico diversivo.

C come CESTA, al secolo Alberto. Insieme a Daniel uomo simbolo di questo raid, anche se per aspetti completamente diversi. Ci ho messo un paio di giorni per capire come mai la bottiglia d’acqua che portava legata al portapacchi non si congelava. Non era acqua. Era grappa. È stato un po’ l’animatore del gruppo, come nei villaggi turistici. Le sue battute e le sue interviste attorno al fuoco hanno contribuito a farci socializzare meglio tra noi. "Chi sei? Che lavoro fai? Quanti anni hai? Hai famiglia?" erano le domande che a turno rivolgeva a tutti quanti. Unico in sella a una small che di originale aveva ben poco (a cominciare dai documenti, come ci ha fatto gentilmente notare un disponibile agente della stradale poco prima di arrivare a Cortina...) è rimasto vittima di ripetute forature alle chiodate e del sale che ricopriva le strade teutoniche. La mancanza di filtro all’ingordo carburatore lo ha costretto lungo la via del rientro a un paio di pulizie fuori programma. A Salisburgo ci ha deliziato con una capriola incespicando con l’anteriore sul cordolo di un marciapiede. Il meglio di se lo ha dato occupandosi del fuoco al campo. Secondo lui la pira non era a posto se le fiamme non raggiungevano i due metri di altezza. Quella notte c’erano -20 ma potevamo star seduti attorno al fuoco in mutande e canottiera. La nostra abbondante scorta di legna non è stata sufficiente. Nottetempo il buon Cesta armato di ascia si è calato nel fitto della foresta bavarese e ha abbattuto un abete in barba agli ovvi divieti. La mattina ciò che restava dell’albero ardeva ancora pigramente fuori dalla tenda. Un vero personaggio degno dei migliori esemplari incontrati su VOL.


C come CICALONE, al secolo Giampaolo. Dalla capitale con furore, insieme all’imperturbabile amico Senzabenza, per questa volta in sella in coppia su un PX in prestito in quanto ancora in attesa delle proprie Vespa attardatesi nel rientro dall’America. Indispensabile la sua mediazione in quanto "collega" per la felice soluzione del "affaire Cesta" alle porte di Cortina. Con una insaziabile fame di chilometri in Vespa non ha esitato a salire su un treno alla volta di Padova con pance PX e maxi marisa nella valigia. Discreto e sempre disponibile, un ottimo compagno di viaggio.

C come CARDAJA, ovvero il Land Defender che ci ha fatto da mezzo di supporto. A causa delle temperature polari e di un infame benzianaro cadorino che ci ha spacciato per gasolio artico della volgare nafta agricola, siamo stati noi a essere il mezzo di supporto per lui. In questo raid l’intervento tecnico più frequente è stato lo smontaggio e il riempimento del filtro del gasolio del cardaja. A Zell, per farlo ripartire siamo stati costretti a ricorrere a una pompa di Argento. Una pompa da materassino! Cosa avevate capito?!?

C come CUOCO e anche come CARBONARA e quindi Jury, l’uomo della cambusa. La cena attorno alla pira (chiamarlo fuoco sarebbe riduttivo) nell’accampamento all’Elefanten, soprattutto nelle condizioni e con l’attrezzatura disponibile è stata una cosa grande. Spaghetti alla carbonara, fettone di pancetta alla griglia, würstel & crauti, patatine al gusto "dado knorr" e birra, tanta birra fresca. Per la prima volta in vita mia, a una grigliata, per tenere i bidoni della birra al fresco (e non al gelo!) li tenevamo accanto al fuoco.

D come DORMIRE. Si crea una particolare situazione di promiscuità dormendo in dieci sotto la stessa tenda. La nostra era divisa in tre ambienti, di cui un ingresso e due "camere". Personalmente non ho incontrato particolari difficoltà nel vivere questa situazione. La stanchezza era tale che non mi ha infastidito particolarmente nemmeno il potente russare di Luca, tanto che una notte ha finito per buttare sangue dal naso. Fortunatamente ciò è avvenuto prima che noi altri cominciassimo a buttare sangue dalle orecchie a causa sua!

E come ELEFANTEN TREFFEN ovviamente. Fino a poco tempo fa una cosa di cui avevo spesso sentito parlare, senza avere un’idea precisa di cosa fosse. Per capire cos’è realmente bisogna andarci di persona, in Vespa, o comunque in moto dormendo in tenda. Diversamente si può dire solo di esserci andati, non di avervi partecipato. Contrariamente alle apparenze non è un raduno di esaltati. C’è uno spirito di gruppo che non ho mai provato in nessun altro raduno. C’è forse un elemento che può dare un’idea della particolarità di questa manifestazione: accanto ad alcune tende ho visto piantate nella neve delle croci con le foto di motociclisti deceduti, con vicino dei ceri accesi. Un maniera stupenda per ricordare tra amici anche chi non è più fisicamente tra noi, in una circostanza spensierata e non triste. L’ultima notte c’è stata una suggestiva fiaccolata fatta appositamente in memoria di quanti non potranno mai più partecipare all’Elefanten. Questo risvolto umano è una delle cose che più mi ha colpito di questa manifestazione veramente unica nel suo genere. È l’unico raduno tra quelli a cui ho partecipato sino a oggi a cui ho pensato che mi piacerebbe tornarci insieme ai miei figli.

F come FREDDO. Ho provato il freddo, quello vero. A casa guardando il termometro può venire da chiedersi a cosa serve che la scala graduata raggiunga i -30. A Zell, la prima notte in tenda e secondo me la più fredda, il termometro a raggiunto dei valori che non sono riuscito a riprodurre nemmeno mettendolo nel congelatore. Ho dormito vestito nel mio saccopelo (che non era specifico invernale), con il cappello in testa. Toglievo solo le scarpe, la giacca e i pantaloni antivento. Stavo bene, ne freddo ne caldo. Nella tenda c’era la stufa in funzione, ma la temperatura non è mai stata tale da far sciogliere la neve che inevitabilmente portavamo dentro entrando. A soffrire di più erano le estremità, mani e piedi. È un fatto fisico e non ci sono guanti o calze che servano: a certe temperature il corpo attiva un meccanismo di autoprotezione dirottando il sangue verso gli organi principali, quindi addome e testa, lasciando il resto a secco di irrorazione. Paradossalmente provavo più freddo durante le soste che non mentre ero in sella. Forse una questione di adrenalina. Anche riscaldarsi all’interno delle stazioni di servizio era controproducente perchè poi uscendo sembrava facesse ancora più freddo di prima. Al freddo anche la nostra amata tecnologia soffre. Il display dei cellulari e delle digitali si ghiaccia e funziona al rallentatore. Le batterie si scaricano a zero di botto, per poi riprendere a funzionare regolarmente se si riesce a scaldarle. I comandi della Vespa se troppo ingrassati ghiacciano. Solitamente mi porto una bottiglietta d’acqua nel bauletto. Questa volta non ho potuto utilizzarla; si è ghiacciata totalmente e l’ho riportata a casa in quello stato. Gli accendini tipo Bic e i fornelletti da campeggio a butano sono inservibili. Il gas non ha più la pressione per poter uscire dagli ugelli. Solo l’esperienza di Luca e Jury ha fatto si che avessimo una bombola di gas PROPANO che può essere utilizzato a quelle temperature per poter cucinare. Avevamo in cambusa del pane a fette confezionato. Quando ho provato a mangiarne una fetta senza scaldarlo è stato come mangiare un pezzo di cartone. Anche i fichi secchi prima di masticarli andavano tenuti in bocca per un pò per ammorbidirli. Tanto tanto freddo, fastidioso ma per me mai insopportabile. Avevo qualche altro indumento di riserva ma mi dicevo che l’avrei indossato solo quando non ce l’avrei fatta proprio più e sono riuscito a non farne ricorso.

F come FRIZIONE. Quella di Rix la più sofferente, ma anche la mia ha perso qualche colpo. In parte la colpa è anche delle manopole antifreddo. In quarta marcia con la manopola ruotata in basso la manopola oppone molta resistenza all’aria e tende a tirare la leva frizione. Se non si ha l’accortezza di tenerla aperta con le dita si può farla fuori senza accorgersi.

G come GOMME CHIODATE. Uno degli argomenti più gettonati nelle settimane precedenti alla partenza. Per uno strano gioco del destino la coppia di cerchi e copertoni che ho trovato per l’operazione di chiodatura non mi sono costati un centesimo. Li ho barattati per tre bottiglie di Malvasia che avevo portato a casa dal Freezer (il Vespa raduno di Modena). Le chiodate sono state indispensabili per muoversi all’interno dell’area dell’Elefanten, su e giù per la conca innevata della foresta bavarese. I percorsi totalmente innevati e ghiacciati sarebbero stati altrimenti impraticabili. Di giorno il via vai di motocicli arava la superficie tracciando dei binari naturali dai quali era vitale tenersi alla larga con le piccole ruote delle Vespa. La notte si ghiacciava tutto. Grazie alle nostre chiodate che hanno frequentemente destato l’attenzione di chi ci incontrava non abbiamo mai avuto problemi di mobilità. Ho schivato con soddisfazione un pachidermico Transalp che mi precedeva lungo una salita, che era pesantemente franato a terra. Diversi sono stati i sidecar che hanno dovuto farsi letteralmente trainare dai quad di servizio per poter lasciare l’area del raduno.

G come GHIACCIO. Tutto e dappertutto. I barilotti di birra andavano messi nel fuoco per poter essere spillati. Ho rinunciato a lavarmi i denti perchè il dentifricio non usciva dal tubetto. Per un curioso fenomeno fisico le bevande confezionate sottovuoto non congelavano fin quando non si cercava di aprirle: un attimo prima erano allo stato liquido, ma non appena entrava un minimo d’aria cominciavano a congelarsi sotto i nostri occhi. In meno di un minuto una bottiglia di Cola passava prima a uno stato tipo granita, per poi divenire nel giro di pochi secondi un unico inservibile blocco di ghiaccio.

I come INCIDENTE STRADALE. L’ultimo incredibile imprevisto del nostro viaggio. Avevamo appena recuperato Rix dopo che gli era stato ricucito il braccio all’ospedale, in mostruoso ritardo sulla tabella di marcia, serenamente rassegnati alle centinaia di chilometri che ancora ci mancavano. Percorrendo una rampa che ci avrebbe immesso su una superstrada un’auto che ci precedeva è uscita di strada incastrandosi lungo un muro poco prima di cadere di sotto. La scena è stata veramente angosciante in quanto a bordo c’erano una donna con tre bimbi piccoli, tutti fortunatamente legati ai sedili. Un bimbo strillava disperato mentre gli altri, donna compresa erano come paralizzati dallo shock. L’abitacolo era invaso da un fumo biancastro e la paura è stata quella che l’auto stesse per incendiarsi. Tutti ci siamo precipitati in aiuto. Gli occupanti dell’auto sono stati estratti brutalmente ma efficacemente e messi a distanza di sicurezza. Aperto il cofano qualcuno ha tagliato i cavi della batteria. Abbiamo offerto ai bimbi della cioccolata per cercare di calmarli e abbiamo segnalato l’incidente ha chi arrivava lungo la rampa. Ognuno di noi ha fatto qualcosa per rendersi utile e ci siamo allontanati solo quando sono arrivati croce rossa e polizia. Sicuramente abbiamo fatto ciò che avrebbe fatto chiunque al nostro posto, ma a ripensarci è stata veramente una bella sensazione vedere come tutto il gruppo ha saputo far fronte all’emergenza. Sono sempre stato un sostenitore dei viaggi in solitaria e ne resto convinto. Viaggiare in gruppo, quando il gruppo è coeso e motivato come lo siamo stati noi in questo raid da una tranquillità che riesce a farti godere anche dei momenti più difficili. Viaggi con la certezza che in ogni caso c’è qualcuno con te che ti aiuterà ad arrivare a casa con la tua Vespa, anche se magari non in sella come nel caso di Rix e Magic.

J come JURY. Un cosacco di nome e di fatto, che sembra nato con il colbacco di pelliccia sulla testa. Il colbacco: uno degli innumerevoli articoli del suo colossale bagaglio. Tra gli altri oltre alle già citate mutande in goretex una torcia mag-lite lunga un metro e del peso di un paio di chili che con il suo fascio di luce avrebbe potuto guidare l’atterraggio di un Jumbo. Poi una fornita dotazione di scaldini chimici per mani e piedi, le fondamentali mollette per stendere il saccopelo. La sera prima della partenza, a Padova, ho dormito in stanza insieme a lui e ad Argento. Prima di dormire ha steso in bella mostra sul letto tutta la sua attrezzatura per un controllo finale. Io e Argento ci siamo guardati perplessi ammiccando alle nostre misere borse, di cui quella di Argento decisamente minimalista. Ci siamo seriamente chiesti dove pensavamo di andare senza niente di paragonabile alla scientifica attrezzatura di Jury...

K come KAKAO GETRUNK. Ovvero la cioccolata, da selezionare nei distributori automatici di bevande calde, presso le stazioni di servizio. C’era anche una bevanda misteriosa denominata "mokaccino" che però nessuno ha mai avuto l’ardire di selezionare.

L come LUCA. Il suo merito è quello di aver creato
Vespaonline un punto di incontro per dei nostalgici sognatori erranti su fumosi e scoppiettanti insetti di lamiera. In Italia i Vespa club non mancano di certo, ma prima o poi chi li frequenta animato da una passione che va al di la del semplice collezionismo fine se stesso, inevitabilmente li trova un po’ ingessati. La Vespa non è fatta per essere spolverata e messa in mostra, ma per essere sporcata di polvere, di fango e nel nostro ultimo caso del sale sparso sulle strade d’Europa. Grazie a Vespaonline, alla passione e all’esperienza di Luca troviamo lo stimolo e l’occasione per muoverci lungo itinerari che magari per conto nostro non percorreremo mai. C’è sempre un lucido folle che salpa verso il nulla alla volta delle Indie e finisce in America. Quando è nata Vespaonline io non c’ero, ma credo che Luca cercasse solo di creare uno spazio dove potersi informare meglio su ciò che è e rappresenta il fenomeno Vespa. Sarà un caso se alla fine dello scorso anno, anche lui insieme ad altri, folli come lui, è sbarcato proprio in America? Sarà un caso se nel dicembre del 2005 anch'io ero tra quei folli che insieme a lui hanno attraversato l'Argentina dalla Pampa alla Patagonia fin giù alla Tierra del Fuego in sella alle nostre vespa?


M come MAGIC (in verità il suo nick sarebbe Vespa Magic ma il buon Cesta l’ha subito rinominato Magic Moment...). Al secolo Christian. Credo fosse il suo debutto a un Raid. Sicuramente non ha scelto di cominciare con qualcosa di facile. Forse la mancanza di esperienza gli ha impedito di gustarsi appieno l’avventura. La sua caduta nell’entusiasmo dell’arrivo a Zell ha un po’ condizionato tutta la sua partecipazione. Ha avuto comunque il coraggio e la forza di arrivare sin dove ha potuto e l’umiltà di chiedere aiuto e tirarsi indietro quando non ce l’ha fatta più, prima di finire col mettersi in pericolo. Credo che comunque anche per lui, alla fine, il bilancio di questa avventura nonostante tutto sia stato positivo.

M come MATTONE. O meglio "il mattone di Argento". Solo a lui poteva venire in mente di mettere nel suo essenziale bagaglio un mattone refrattario (quelli con cui sono fatti i forni per intenderci). Lo lasciava per ore accanto al fornello o direttamente nel fuoco e poi al momento di andare a dormire lo avvolgeva in un giornale e se lo metteva nel saccopelo: geniale!

N come NOTTE. Viaggiare di notte: una situazione che non ho mai amato, soprattutto per problemi di vista che di notte si accentuano con i riflessi sulla visiera. Quando viaggio per conto mio cerco sempre di evitare di trovarmi ancora in strada col buio. In questo raid è stato inevitabile: le giornate erano ancora corte e molti i chilometri da percorrere in ogni tappa. Nel gruppo ho trovato la forza per superare questo mio limite. Ho scoperto che viaggiare di notte ha anche un suo fascino, nonostante il freddo e le strade gelate non consentano distrazioni. Gli ultimi chilometri che da Passau salgono a Solla lungo la strada che si snoda in mezzo alla foresta bavarese sono stati magici. Viaggiavamo nel buio totale rischiarato solo dalla luce dei fanali del serpentone di Vespa, nel suggestivo chiarore della neve che ammantava tutto quanto intorno. Ai lati della strada neri abeti carichi di neve... dietro una curva un’autentica apparizione: in piena notte in quella strada in mezzo al nulla un vecchio cieco che agitava nella notte il suo bastone bianco per farsi scorgere sentendoci arrivare. Una magia nella magia. Quando poi ne abbiamo riparlato questo episodio ci è sembrato talmente irreale da chiederci se l’avessimo visto veramente.



O come OSPEDALE. Una tappa del nostro Raid di cui tutti avremmo fatto volentieri a meno. Dopo che Rix è stato "morso" dalla sua Vespa indispettita per l’ennesima rottura è stato inevitabile portarcelo. Fortunatamente i tempi di attesa sono stati ragionevolmente brevi per non infierire particolarmente sulla nostra già pluriritardataria tabella di marcia.

P come PAGLIA. Venduta in balle direttamente dagli organizzatori o dagli agricoltori del luogo nelle vicinanze del raduno. Un isolante naturale utilizzato sotto le tende o nel nostro caso per foderare i sedili scavati nella neve attorno al fuoco del nostro bivacco.

Q come QUAD, il "motociclo" fuoristrada a quattro ruote. Non presentatevi all’Elefanten Treffen su un quad perchè non vi fanno nemmeno avvicinare. Qualsiasi veicolo con più di tre ruote viene fermato a qualche chilometro dal raduno e dirottato nei vari parcheggi. Gli unici quad ammessi erano quelli dell’organizzazione, impegnati nel recupero a traino di quanti non riuscivano più a risalire fino all’uscita.

R come Rix, al secolo Riccardo. Anagraficamente il più giovane membro della spedizione. Di poche parole e molti fatti ha saputo integrarsi perfettamente nel gruppo. La sfortuna l’ha perseguitato in particolar modo, senza comunque mai fargli perdere il sorriso. La frizione è stata il suo punto debole fino al punto da immolare il suo braccio nell’ultimo fatale tentativo di riparazione. Anche in quel caso ha dimostrato una freddezza ammirevole, contribuendo a mantenere la serenità del gruppo anche in una circostanza del genere. Un VOLista di nuova generazione che fa ben sperare per il futuro della nostra comunità.

R come ROBY, ovvero Roberto. Calato alla perfezione nel suo ruolo di driver del cardaja, per solidarietà col gruppo avrebbe almeno potuto viaggiare con i finestrini aperti. Ha preferito tenere il riscaldamento a manetta e starsene a bordo in maglietta. Il suo compito al campo era dirigere il montaggio del tendone. Innumerevoli e pittoreschi i suoi battibecchi con Luca per i più svariati argomenti. Ha trascorso il tempo libero da altre occupazioni attaccato al cellulare, a tessere una fitta rete di "pubbliche relazioni". Non ha nascosto il suo disappunto per la posizione defilata nella quale abbiamo piantato il campo: fosse stato per lui avrebbe messo la tenda direttamente al centro della mitica Arena....

S come SENZABENZA, al secolo Federico. La sua particolare postura una volta sceso dalla Vespa faceva supporre che fosse rimasto surgelato, sigillato nel suo chiodo in pelle nera. Un altro personaggio di cui VOL non potrebbe fare a meno. Al momento di coricarsi, pur restando praticamente vestito, prima di infilarsi nel saccopelo indossava sopra agli abiti un pigiamino azzurro con gli orsetti. Dice che gli concilia il sonno. Mitiche le sue lotte con le lenti a contatto, alla luce della pila, con l’assistenza del fido Cicalone. Come tutto il resto anche quelle alla mattina erano congelate. Dalla capitale con furore: dopo il Raid dei deserti e quello degli Elefanti chi lo ferma più?

S come SALE sulla STRADA, in particolare in Germania. Le strade erano letteralmente bianche di sale, che ha finito per ricoprire di una polverosa patina bianca Vespa, vespisti e quant’altro.

S come STINCO precotto, altro alimento simbolo di questo Raid. Una vera manna nella congelata cena di Zell alla prima sera. L’estro culinario di Jury ha fatto si che la scorta di stinchi e cotechini rientrassero (surgelati) alla base.


S come SOTTOZERO. Una cosa talmente ovvia che quando ci informavamo su che temperatura ci fosse la risposta era semplicemente "15" o "7" o "20": che fosse sottozero era sottinteso.

T come TERMOMETRO. Erano due quelli a cui facevamo riferimento. Uno era applicato al manubrio del PX di Luca. L’altro era il mio applicato col nastro adesivo al parabrezza. Classico a mercurio è stato soprannominato "Gianni l’ottimista" in quanto segnava mediamente tre o quattro gradi di "caldo" in più rispetto a quello di Luca. Ciò non gli ha impedito di indicare un -20 nella gelata notte a Zell.

U come UBRIACHEZZA. Personalmente quando sono andato a coricarmi non ho mai notato che qualcuno avesse in qualche modo ecceduto nel bere. La mattina prima di ripartire dall’Elefanten però, trovando ciò che restava di un abete che ardeva pigramente nel fuoco del nostro bivacco, ho intuito che forse non era stato proprio così per tutti...

V come VESPA ovviamente, e non c’è da aggiungere molto. Anche una Vespa strettamente di serie come la mia è stata perfettamente in grado di portare a termine questa avventura.

Z come ZELL AM SEE. La prima tappa del nostro Raid. Personalmente quel primo giorno di viaggio mi sembrava di non arrivare mai. Era buio, avevo sempre più freddo e non avevo una precisa idea di quanto mancasse. Non vedevo l’ora di infilarmi nel saccopelo in tenda: poi pensavo che una volta arrivato ci sarebbe stato il cardaja da scaricare, la tenda da montare, la cena da preparare prima di poter mangiare qualcosa di caldo. Mi maledicevo pensando "...ma chi cazzo me l’ha fatto fare?" Immaginavo che invece gli altri fossero perfettamente a loro agio, che fatica, stanchezza e freddo fossero solo un problema mio. A non più di un minuto di strada dal campeggio Magic infila l’anteriore nella neve a lato strada e va in terra... ci siamo fermati tutti ad aiutarlo: nulla di grave fortunatamente. In quella circostanza ho potuto guardare gli altri negli occhi. Qualcuno ha detto "Occhio ragazzi, non rilassiamoci proprio adesso: siamo tutti stanchi...". Eravamo tutti in ballo e tutti nelle stesse condizioni. Mi sono sentito più forte. Dieci minuti dopo eravamo piegati in due dal ridere per la faccia dell’addetto al campeggio, quando aveva capito che avremmo pernottato in tenda con tutto quel freddo... Ecco, da lì in avanti per me l’Elefanten Treffen è stato come dire... tutto in discesa. Ci sono stati altri momenti difficili, altro freddo, altre strade gelate, altri chilometri nella notte, ma non ho mai dubitato, nemmeno per un attimo, che tutti quanti insieme ce l’avremmo fatta.



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Trafficando nel traffico

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Quest’oggi, complice la giornata di bel tempo, ho lasciato volentieri il furgone in garage e ho preferito la Vespa per i miei traffici quotidiani, grazie anche al piccolo cabotaggio degli stessi che per una volta mi consentiva di potermi spostare con un veicolo meno ingombrante. Il cielo oggi è stato sereno e soleggiato, rinfrescato da un’aria frizzantina, tanto fresca che sembrava lasciarmi addosso una vago sentore di mentolo. Non sapete quanto adoro girare per lavoro in Vespa: sono vestito più accuratamente di quando di solito monto in sella per diletto, oggi con una bella camicia morbida blue scuro (che mentre viaggio si gonfia che è uno spettacolo!) e un paio di calzoni chiari. La borsa con tutti gli scartafacci legata al portapacchi davanti mi da giusto quel tocco in più che mi fa sentire così bene, tanto che mi sembra di viaggiare sospeso a un centimetro dall’asfalto. Varie commissioni da sbrigare nei paesini del circondario per poi spingermi nel pomeriggio fino in città. Un sopralluogo da fare in riva al lago, un lavoretto da finire poco oltre, a due passi dal confine. Un ordine finalmente sottoscritto con un concessionario di auto di lusso. Un salto in assicurazione (per una volta come fornitore e non come cliente!). Sono riuscito anche a ritagliarmi il tempo per una capatina dal mio Piaggio-Men di fiducia per scambiare un "allora come va? sempre in giro eh! stì ragazzini mi tirano scemo! quando si parte per le ferie? mica come la sua, questi affari qui... quelle si che erano Vespe! viaggi lunghi quest’anno? scappo in officina che ciò un casino di roba da fare... arrivederci!" e approfittarne per comprarmi qualche cavetto di scorta, cosa che magicamente ha incominciato a farmi entrare nella giusta lunghezza d’onda per gli imminenti viaggetti.
Rientro a casa per mangiare una bistecca e stendere la lavatrice che ho fatto partire stamattina prima di uscire (... la moglie in vacanza... il marito in città!). Altro sopralluogo in un ufficio. Mi vibra la tasca...: c’è uno in studio che mi aspetta di cui mi ero dimenticato: "digli che sto arrivando!" Grazie alla Vespa in cinque minuti sono lì. Poi di nuovo in strada per arrivare in banca giusto un’attimo prima della chiusura pomeridiana dello sportello. Un salto da mia mamma che abita li vicino.
Ore 17 rientro alla base "sano e salvo". Ci sono un po’ di telefonate da fare, ma possono aspettare fino a domattina (eccheccazz... mica sono un neurochirurgo!).
Perché scrivere di tutto ciò? Tutto ruota attorno all’espressione che ho usato poco fa, quel "sano e salvo" che non è solamente un modo di dire, ma diventa un dato di fatto. Da quando sono uscito stamattina ho percorso un centinaio scarso di chilometri. Saranno che negli ultimi tempi si evidenzia una tendenza al crash-test anche per pacati vespisti di lungo corso e provata esperienza che non risparmierebbe nemmeno chi si dotasse di tutti i più moderni ritrovati quali il freno a disco, ABS, forse l’air-bag, le rotelle antiribaltamento, il cavalletto laterale, il GPS...
Oggi non ho potuto fare a meno di far caso a quante volte si rischia letteralmente la scorza girando in Vespa. Il ridicolo cicalino pomposamente definito avvisatore acustico, che a seconda dei giri del motore lancia striduli versi rauchi o asfittiche pernacchie, oggi mi avrà tolto da incombenti imbarazzi non meno di tre o quattro volte. In Vespa esisti solo se ti sentono. Di vederti non se ne parla proprio. Oggi mentre ero lanciato (!!!) lungo un viale cittadino a doppio senso, una Megane davanti a me non ha trovato di meglio che fare un’inversione a "U" al volo, ci mancava solo il colpetto di freno a mano! Di fronte non arrivava nessuno, questo è vero, ma da dietro?!? C’ero io! che senza aver tempo di controllare mi sono dovuto buttare tutto a destra, rasare un muro e cercare poi di far tornare le pulsazioni a un ritmo accettabile. Un paio hanno tentato di immettersi senza dare la dovuta precedenza prima che li stoppassi al suono del cicalino. Un tale su un furgone ha deciso di farsi lo sconto ed è partito mentre era ancora rosso (...tanto il rosso contemporaneo agli incroci micidiali vale solo per i babbei). Ovviamente non è mancata una portiera che si spalanca, ma questa è routine. Ma uno deve accendere un cero ogni volta che torna a casa? Indubbiamente è innegabile l’influenza statistica. C’è bel tempo, si passa più tempo in sella e più tempo si passa in sella più aumentano le probabilità di fare il botto; ma per caso l’ha detto il dottore che un’automobilista non può tornare a casa se prima non stende un motociclista? Probabilmente il fatto che a noi capita di spostarci sia su due che su quattro ruote ci da una sensibilità tutta speciale che ci consente di tenere nella giusta considerazione gli altri utenti della strada, particolarmente quando noi siamo su quattro ruote nei confronti di quelli che viaggiano su due soltanto. Non posso proprio definirmi uno scavezzacollo: nella spirale del mio DNA i cromosomi di Gilles e Ayrton (...scusate, ma il teutonico mentuto driver delle Rosse lo trovo troppo ingessato per definirlo un funambolo della pista, e a mio avviso lo dimostra anche il fatto che fortunatamente sia ancora in vita, al contrario degli altri due) sono praticamente assenti e la mia andatura quando la strada è poco meno che rettilinea lo dimostra. Si parla tanto del patentino per i motociclisti... ma la patente della macchina? Vogliamo parlarne? La patente auto dovrebbero rilasciarla solo dopo un certo numero di ore di moto (come le ore di volo per i piloti d’aereo per intenderci). Diciamo un migliaio (in fondo si tratterebbe solo di un’oretta al giorno per qualcosa meno di tre anni!) di cui almeno un 30% con la pioggia. Forse così tutti saprebbero valutare lo spazio di arresto di uno scooter quando piove. E per fortuna che oggi c’era il sole!

Se non sbaglio, nel comasco, dalle parti della Madonna del Ghisallo, c’è un santuario o qualcosa del genere che riguarda proprio i centauri sopravvissuti e quelli ahimè meno fortunati. Una sorta di santo protettore. Se si organizza un raduno (ma va bene anche una gita delle pentole in torpedone) io ci sto: prevenire è sempre meglio che curare (lo disse anche il dentista!).

Anna

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Mi ero fermato in studio a "perdere tempo" leggendo i post sul forum di VOL. Il cielo era scuro e c’era già stato un acquazzone nel primo pomeriggio. Aspettavo che si rimettesse a piovere per salire in Vespa e tornare a casa. Avevo una nuova casacca da pioggia (mod. PARABELLUM di Tucano Urbano) e volevo provarla.
Quando mia moglie mi ha visto uscire in Vespa con quel cielo avrà pensato una volta di più se sono normale... Alle 19,45 ecco che finalmente si rimette a piovere! Mi abbiglio in fretta e ...via!!! Passo dal centro città e lo attraverso zigzagando tra le auto incolonnate. Piove bene, il test della casacca va a gonfie vele. Passato il centro ho ancora qualche chilometro extraurbano. A un semaforo sono accanto a un Kawa Ninja che si muove con cautela sull’asfalto bagnato. Non ci provo neanche a mettermi in gara... pur partendo "adagio" mi lascia sul posto e svolta in una laterale. Io vado dritto per la strada che faccio giornalmente. Un paio di stradine secondarie per raggiungere quella specie di tangenziale che poi e solo uno dei vialoni principali della città. Nell’ultimo tratto prima del vialone butto un occhio allo specchietto e vedo un "fanale" in rapido avvicinamento: mi raggiunge e mi sorpassa. E’ il Ninja. Scatta giusto in tempo per arrivare prima al semaforo, che è rosso. Svolto a destra e mi immetto nel vialone in senso contrario rispetto alla mia meta. Faccio 100 metri e c’è un varco per immettersi nell’altro senso di marcia. Giro sul vialone dove trovo il verde e ripasso in vantaggio rispetto al Ninja avviandomi verso casa. Esperienza batte potenza uno a zero. Nel lungo rettilineo mi raggiunge in un lampo. Finito il vialone svolta. Un occhiata tra di noi come un saluto sottinteso. Io proseguo dritto. Mancano poco più di tre chilometri a casa. Tutto bene, tutto tranquillo, un rilassante rientro in Vespa che come sempre mi aiuta a stemperare la pressione di un giorno di lavoro. Uno degli ultimi prima delle ferie. Venerdì prossimo partirò per il mio tour estivo; io, la mia Vespa e basta per 1200 km in tre giorni e due notti.
Le auto ora sono incolonnate e procedono adagio, quasi ferme. In quel punto ci sono due corsie per chi viaggia nel mio senso e quella di sinistra verso il centro della strada è completamente libera. Scivolo accanto alle auto incolonnate. E’ in quell’istante che Anna decide di irrompere nella mia esistenza! Anna. Ventisette anni, due occhioni blu da cerbiatto impaurito. Tra quattro mesi sarà un anno da quando Anna ha fatto la patente. Ha fatto gli occhi dolci e nella fila di auto incolonnate qualcuno ha deciso di lasciarla passare dopo che lei si era fermata a un chiosco a comprare della frutta. Anna ringrazia con uno dei suoi sorrisi. Bisogna ammetterlo: è proprio carina! Parte decisa... tanto se arriva un TIR o una Vespa che differenza fa? Non era un TIR: Anna è ancora viva. Era una Vespa, la mia Vespa! Anna: un viso dolce che fa tenerezza... ma al primo impatto tra noi (nel vero senso della parola!) se avessi avuto per le mani un mazzacarne non so cosa le avrei fatto!!! In ventun anni che guido moto e Vespa ne ho viste tante e fatte ancor di più, ma un auto che ti punta addosso proprio mi mancava. Ho frenato ovviamente, ho cercato di schivarla. La Vespa si è intraversata ma era tutto sotto controllo, tanto sapevo perfettamente che l’impatto sarebbe stato inevitabile anche se, fino al botto, ho sperato che forse anche stavolta l’avrei sfangata... invece mi sono trovato a terra dopo una fugace evoluzione sul cofano dell’auto. Se fossi stato su una moto la gamba destra avrebbe fatto un brutta fine. Grazie alla Vespa io me la sono cavata con una sbucciatura al braccio. La mia piccola invece è ridotta da far pietà: scudo piegato, bauletto divelto, parafango accartocciato, entrambe le pance laterali danneggiate, faro rotto. Il parabrezzino nuovo, un mese di vita, tutto graffiato! L’ho rimessa in piedi, ho aspettato un pò e si è avviata al primo colpo! Questo è un messaggio!!! Venerdì partirò lo stesso, a costo di metterla insieme col nastro adesivo!

In viaggio nel tempo.

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Il giro che mi sono fatto domenica 31 luglio 2005 è stato sotto diversi aspetti molto differente rispetto a tutti gli altri. Anche questa volta come così come tante altre in precedenza sono andato ad arrampicarmi su per i tornanti, in questo caso della vicina Svizzera, per aggiungere un altro "2000" al mio palmares, valicando il passo di Novena (Neufenenpass) di 2.478 mt, il più alto della confederazione.

La prima sostanziale differenza è stata nel fatto che questa volta non ero solo ma condividevo nuovamente la sella con mia moglie, che finalmente dopo tanti anni (...e due figli ormai non più piccolissimi) ha ritrovato la voglia di accompagnarmi. Tanto di cappello a Elena205, la mia consorte, che ha cominciato a lamentare qualche fastidio dovuto alla terribile sella dei vecchi PX soltanto intorno al 400tesimo chilometro...
Partiti di buon mattino dai dintorni di Varese, dopo aver traghettato a Laveno siamo sbarcati a Verbania e da lì ci siamo arrampicati alla volta del Sempione. Per me è una sorta di pellegrinaggio che se posso faccio tutti gli anni: mi piace constatare che la grande aquila di granito e sempre li, con il suo sguardo severo a scrutare la vallata. Scesi a Briga abbiamo preso a destra alla volta della cittadina di Sierre, che in realtà era il vero obbiettivo di questo giro, per un motivo che vi spiegherò più avanti.
Lungo la strada che attraversa il Vallese un simpatico diversivo a rompere la monotonia del fondovalle: una foratura. Mi fermo per cambiare la ruota in una piazzola dove la proverbiale efficienza elvetica fortunatamente fa cilecca facendomi trovare un bel materasso abbandonato dove sdraiare comodamente la Vespa. Dopo il pranzo a Sierre torniamo sulla strada già percorsa e questa volta arrivati a Briga lasciamo la via del Sempione alla nostra sinistra e continuiamo a risalire lungo la valle del Rodano. Il paesaggio è quello classico dell’ambientazione dei cartoni animati di Heidi: pinete lussureggianti, prati tanto curati che sembrano campi da golf (e in alcuni casi lo sono veramente). Da una parte la ferrovia con silenziosi e graziosi treni rossi e dall’altra la cremagliera a scartamento ridotto dei convogli che portano in quota. Mucche al pascolo con campanaccio d’ordinanza sparse qua e la... insomma, pura Svizzera al 100%! Per arrampicarsi al passo di Novena si imbocca al Val Bedretto. Sono 13 chilometri di salita che come sempre diventano estremamente affascinanti una volta superata la quota "arborea" intorno ai 2.000 metri. Lassù dove gli alberi non crescono più è sempre magico viaggiare e sul passo la morena del ghiacciaio è tanto vicina da far impressione.
Da li il nostro giro è un lungo rientro percorrendo la Val Leventina fino a Bellinzona, poi Lugano e da li a casa è un attimo. I bimbi sono a casa dei nonni che ci aspettano festanti: diventa sempre più difficile lasciarli a casa.

A proposito: volete sapere perchè sono andato a Sierre e perché ho titolato questo racconto "In viaggio nel tempo"? Dovete sapere che esattamente quarantanove anni e un giorno fa....

...da tempo sono alla ricerca di quella che fu la Vespa di mio padre, che è mancato ormai da qualche anno. Dopo l’entusiasmo iniziale mi sono reso conto che è molto difficile che io possa mai incontrare, non dico possedere ma almeno vedere quella Vespa. Sono riuscito a mettermi in contatto con la persona che acquistò quella Vespa da mio padre, ma purtroppo non ha saputo dirmi che fine abbia fatto. Ho preso contatto con i principali Vespa Club nazionali, ma purtroppo senza alcun riscontro. Si contano sulle dita di una mano quelli che mi hanno risposto. Visto che (per ora!) di tornare realmente in contatto con quella Vespa non c’è verso, ho pensato di farlo indirettamente. Ho qualche foto di mio padre vespista e in una di queste è ritratto da mia madre durante un loro viaggio dall’Italia alla Francia. Sul retro della foto e scritto a mano il nome di una località e una data.

Così, esattamente a 49 anni + 1 giorno di distanza sono riuscito a rifare la stessa fotografia, che dedico alla sua memoria.


SPONSOR & SUPPORTER

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Andare in Vespa per me non è solo un passatempo. È qualcosa che mi coinvolge molto di più del semplice montare in sella e andare a spasso. Qualsiasi giro, quello di pochi chilometri o quello più impegnativo di diversi giorni, riesce a coinvolgermi in un modo unico. Mi bastano pochi chilometri in sella alla mia Vespa per sentirmi "trasportato" ben più lontano di dove in effetti mi portano le piccole ruote da 10" del mio "Charley", vespone modello P125X del 1981. E non importa che la meta sia esotica, remota o sia un raduno a poca strada da casa.

Fondamentale per godersi il viaggio è essere equipaggiati nel migliore dei modi e se oggi posso permettermelo è grazie alla collaborazione di alcune aziende che più di credere in me e in quello che faccio credono nel modo in cui lo faccio.

Queste sono le aziende a cui va il mio riconoscente ringraziamento.

La Helm International S.p.A. di Azzano S. Paolo (Bergamo) produce e distribuisce i caschi CABERG, marchio che da trent'anni è sinonimo di qualità e innovazione tecnica per i motociclisti d'Europa. La sede dell'azienda, ulteriormente ampliata di recente, si trova in una moderna struttura industriale dove si concentrano i reparti produttivi, il laboratorio collaudi, gli uffici commerciali ed amministrativi. La rete commerciale raggiunge la maggior parte del mercato europeo (Caberg è leader nel mercato tedesco) ed è presente in molti paesi extra UE.Dal 1974 il marchio CABERG si impone sul mercato per la qualità dei suoi caschi motociclistici. La presenza all’interno dell’azienda di un Laboratorio Certificato garantisce il soddisfacimento dei test di conformità richiesti dalle varie normative per offrire prodotti personalizzati per la massima sicurezza e per un elevato comfort del motociclista. La produzione CABERG viene costantemente monitorata attraverso una procedura di controllo qualità molto severa.

TUCANO URBANO Per gente sempre su due ruote. Tutti i giorni, in ogni stagione e in ogni occasione. Da più di 10 anni, produciamo abbigliamento e accessori per chi si muove in scooter e in moto.
Sotto la pioggia battente o sotto il solleone, per andare in ufficio o per una passeggiata fuori porta. Sempre e ovunque. Non ci sono limiti per chi si sposta ogni giorno sulle due ruote (di questo siamo fermamente convinti)... In moto sempre in moto, per l’appunto. Questo è il motto che accompagna tutte le nostre collezioni: abbigliamento e accessori che garantiscono sicurezza, comfort e moda in qualunque condizione meteorologica. In origine fu il Termoscud©, il coprigambe contro pioggia, freddo e vento. Poi venne l’abbigliamento antipioggia, l’antivento, i guanti... Così, nel tempo abbiamo continuato la nostra battaglia contro tutte le intemperie climatiche, conquistando scooteristi e motociclisti con una vasta gamma di prodotti capaci di soddisfare qualsiasi esigenza e gusto. I motociclisti metropolitani, gli amanti dei viaggi, gli eleganti professionisti o i giovani alla moda non hanno che l’imbarazzo della scelta.


CAPE HORN è testimonianza ed espressione del pensiero di chi ha percorso tante miglia come viaggiatore nel mondo. Il marchio Cape Horn nasce infatti nel 1990 ad Arsiero (VI), in Italia, dal desiderio e dalla passione dei fratelli Ferrari di realizzare un “design italiano” che potesse rispecchiare un preciso stile di vita: quello del viaggiatore e della sua voglia di conoscenza. Iniziò così la ricerca di quel nome che potesse rappresentare questa loro idea. Identificarono nelle latitudini australi dei territori patagonici della Tierra del Fuego e in particolar modo nell’isola di Cape Horn il luogo ideale a cui ispirarsi. Un luogo vero, carico di simbologia e di storia, che ben si adattava al loro modo di interpretare il concetto sportswear evoluto.
Cape Horn è molto di più di un luogo geografico, testimone inconsapevole di coraggiose avventure, da Magellano a Drake, fino ai mandriani patagonici di oggi: i Gauchos; porta verso l’ignoto, dove sono gli elementi naturali a dominare e l’uomo, di fronte ad essi, non può che guardarsi dentro e confrontarsi con i veri protagonisti: oceani, montagne, ghiacciai, fiordi, icebergs, leoni marini, pinguini e albatros.